lunedì 18 gennaio 2010

La fotografia contemporanea dell'Est in mostra a Modena

Per chi vive o si trova a passare dalle parti di Modena non perdetevi questa mostra

mercoledì 13 gennaio 2010

CAMMINARE. DAPPERTUTTO (ANCHE IN CITTA’)

Quando si pensa alla parola camminare subito vengono in mente lunghe passeggiate in montagna. Ma camminare si può anche in città. Magari dopo aver letto il bel libro di Tomas Espedal, Camminare. Dappertutto (anche in città). Di seguito ecco la presentazione della casa editrice Ponte delle grazie:

Il mondo è silenziosamente percorso da camminatori. Individui che camminano per la loro felicità, oltre che per andare da un luogo all'altro. Sono sempre esistiti, anche se non tutti pienamente consci di esserlo; alcuni erano e sono anche poeti, scrittori, filosofi, artisti. Tomas Espedal è uno di loro. Per lui camminare, pensare, scrivere fanno parte di uno stesso ciclo vitale che si ripete incessante nel suo destino. Che si tratti di camminare per una città come Parigi, della dolce campagna norvegese o dei sapori forti della Turchia, il viaggio inizia con un imperioso richiamo interiore, e prosegue a fianco di amici vivi o scomparsi, della memoria di compagni illustri come Rousseau o Rimbaud o Satie, di amori finiti o ancora da iniziare; passo dopo passo, con l'aiuto di paesaggi mozzafiato ma anche e forse di più del buio, ci si sente più vicini a sé e alle proprie sensazioni; e poi a un certo punto ecco l'altro richiamo, la nostalgia di casa e, una volta tornati, la gioia di camminare sui propri passi di tutti i giorni. Camminare, alla fine, è un modo di segnare un inizio e una fine, di dare ritmo e senso all'esistenza, anche nei pochi passi da casa all'emporio del quartiere. Per Espedal, per ogni camminatore, il ciclo vitale è quello di un eterno ritorno - per poter, di nuovo, riempire lo zaino e partire.

La letteratura è costellata da una miriade di riferimenti all’arte del camminare e ai suoi svariati rimandi su scrittura, filosofia, poesia: un legame forte tra lo spostarsi a piedi ed il pensiero. Tomas Espedal ci regala un affresco vivido e reale di ciò che è il viaggiare inteso come il vagabondare da un luogo ad un altro usando solo il proprio corpo, i propri piedi, lasciando che siano loro a decidere della nostra partenza e del nostro arrivo. Un incoraggiamento ma anche un monito a ricercare in se stessi, soprattutto nell’intima solitudine del camminare, lo specchio di un’esistenza che può essere privata di ogni sua caratteristica ma non del proprio fulcro: l’essere noi stessi.

Un romanzo che, proprio come l’argomento che tratta, si trasforma in un magnifico cammino all’interno della letteratura: l’autore racconta e si racconta citando alcuni tra i più importanti pensatori della storia, le prima pagine sono cariche di rimandi al passato di scrittori, filosofi e poeti che facevano del camminare una forma di pensiero, un modo per ricercare l’interiorità e il rapporto con la natura. Rousseau, Heidegger, Chatwin, Orwell, Dante Alighieri, Kierkegaard sono solo alcuni dei compagni di viaggio che ci accompagnano nella lettura, e non sono solo le loro citazioni ma l’intero pensiero ad essere riportato tra le righe di questo romanzo e “Le confessioni” di Rousseau non ne sono che un piccolo esempio, dove Espedal ricerca le radici del pensiero del filosofo francese legandole alla sua grande passione per la natura e al suo costante bisogno di viverla, di camminarla.

E' un libro sincero, reale, vissuto, dove il viaggio è metamorfosi del passo umano che lento dà il ritmo ai pensieri, ossigeno al cervello e apre la mente. Un romanzo che è soprattutto un’autobiografia di vesciche e dolore, sia fisico che morale; di inquietudine e vagabondaggi dove alcool, poesia, donne e solitudine sono parte imprescindibile dell’essere uomo e vagabondo. E c’è la rabbia, le urla del paesaggio che ci urla in faccia che stiamo “deridendo la bellezza”, che le stiamo “pisciando in testa”. ?

Alla fine, quando la fatica umana si impadronisce di noi, viene voglia di tornare a casa, perché “abbiamo vissuto più di quanto riusciamo a sopportare” e giunti ad un cero punto è necessario fermarsi e fare quella cosa che ci riesce tanto bene, tra una vita e l'altra: “stare seduto alla finestra a guardare fuori”, “ finché le vesciche non saranno sparite, sostituite dalle piaghe da decubito”.

Non servirà altro a farci capire, quello sarà il segnale che è necessario tornare nel mondo a camminare; perchè c’è un tempo per fermarsi ma, soprattutto, un tempo per andare.



TITOLO: “CAMMINARE. DAPPERTUTTO (ANCHE IN CITTA’)”

AUTORE: TOMAS ESPEDAL

EDITORE: PONTE ALLE GRAZIE

PREZZO: 15,00 €

lunedì 11 gennaio 2010

A Trieste, nel cuore ebraico della città - parte 2


Riprendiamo il percorso attraverso il cuore ebraico di Trieste da dove eravamo rimasti ieri, dal Caffè San Marco.
Procedendo lungo via Cesare Battisti, dopo aver oltrepassato Piazza S. Giovanni e via Imbriani, si raggiunge Corso Italia, nei cui pressi è ancora possibile ammirare numerosi edifici di grande interesse. Sulla sinistra si trova via del Monte, uno dei luoghi più suggestivi e importanti per la vita della comunità ebraica locale. Resa celebre dai racconti di Umberto Saba, si racconta che nel 1446 sulla sua sommità sorgesse l’antico cimitero ebraico. Ai civici 3 e 5 si ergeva invece la Scola Vivante, una delle sinagoghe più antiche della cittadina friulana, dove veniva praticato il rito spagnolo.

Oggi, al numero 5, l’antica scola è stata sostituita invece dal "Museo Carlo e Vera Wagner”, il museo della comunità ebraica. Al suo interno è possibile approfondire la storia e la vita sociale degli ebrei a Trieste, e ammirare la piccola sinagoga di rito ashkenazita-polacco, che ancora viene utilizzata per sporadiche celebrazioni.

Scendendo da Via del Monte verso Piazza Benco si incontra la Casa Vivante, un grande palazzo di origine settecentesca che la comunità utilizzò come scuola fino al 1851. Poco lontano, risalendo verso Corso Italia al numero 9, si erge Palazzo Hierschel de Minerbi, un imponente edificio neoclassico che prende nome dal ricco commerciante ebreo che lo fece costruire nel 1833. Dirimpetto impossibile non ammirare l’elegante palazzo della famiglia Treves, la stessa dai quali discendono i fondatori dell’omonima casa editrice.

Terminata la passeggiata nel centro storico si può fare una comoda pausa al vicino Caffè Tommaseo, in via del Canale Piccolo. Il Tommaseo, costruito nel 1830 dal padovano Tommaso Marcato, è più antico caffè triestino, e ancora oggi al suo interno è possibile sentir riecheggiare le memorie storiche e letterarie della città. Situato in quella che una volta veniva chiamata Piazza dei Negozianti, esso fu infatti il principale ritrovo di artisti e scrittori e punto d’incontro degli uomini politici e d’affari.

Dopo la pausa, il percorso prosegue all’esterno del centro storico, verso uno dei luoghi più tragici della storia triestina e italiana. Si tratta della Risiera di San Sabba, così chiamata perché creata all’interno di un vecchio stabilimento per la pilatura del riso. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale questo stabilimento vene utilizzato come campo si stermino e internamento degli ebrei.

Il cammino si chiude con la visita al cimitero ebraico, sorto nel 1843 per sostituire l’antico cimitero di via del Monte. Al suo interno si trovano le tombe delle più importanti famiglie ebraiche triestine, tra i quali proprio i Morpurgo dell’omonimo museo di via Imbriani.

domenica 10 gennaio 2010

A Trieste, nel cuore ebraico della città - parte 1

Di recente una classifica de “Il Sole 24 ore” l’ha incoronata la città con la qualità della vita più alta d’Italia. Ma Trieste, oltre a essere nota per la sua vivibilità, è soprattutto un centro cittadino dai mille volti affascinanti, ricco di testimonianze storiche e monumenti di grande valore.

Uno degli aspetti meno conosciuti della città, ma molto suggestivo, è il suo cuore ebraico. La presenza della comunità ebraica a Trieste, una delle più importanti d’Italia, è attestata fin da tempi lontanissimi, a partire dal 1236.

A cominciare dal ghetto, che si estende a pochi passi dal palazzo della Borsa e dalla Piazza Unità, in un luogo simbolo di Trieste, a simboleggiare l’importanza del ruolo economico che la comunità aveva raggiunto.

La storia narra che il ghetto nacque come un compromesso tra il Comune della città e il delegato dell’Impero Austriaco, le due entità che allora si spartivano il potere su Trieste, per limitare l’evoluzione economica dei commercianti ebrei. In un primo tempo esso fu costruito in uno spazio piuttosto circoscritto, in quello che prese poi il nome di ghetto di Trauner, il cosidetto ghetto vecchio, un luogo angusto e piccolo. Esso ben presto venne però sostituito con il più ampio ghetto di Riborgo, del quale oggi rimane ben poco, a causa dell’imponente opera di risanamento cui la zona venne sottoposta nel corso degli Anni Trenta.

L’antico ghetto conteneva al suo interno ben quattro sinagoghe, o scole, delle quali oggi non rimane più traccia. Al contrario è ancora possibile ammirare la Sinagoga di via San Francesco, costruita nel 1912, progettata dagli architetti Ruggero e Arduino Berlam.

Al suo interno sono custoditi ricchi mosaici e fregi, oltre agli argenti rituali salvati dalle razzie della seconda guerra mondiale.

Poco ontano dalla Sinagoga, in via Battisti18, si trova un altro luogo simbolo della comunità ebraica, il Caffè San Marco. Da sempre frequentato anche dal pubblico ebraico, il caffè è stato una delle mete preferite di molti intellettuali triestini, tra i quali lo scrittore Claudio Magris, che ancora oggi si può incontrare seduto ai tavoli dell’antico caffè.



Informazioni e orari:

La Sinagoga di Via San Francesco è aperta al pubblico per visite guidate, a pagamento, ogni domenica alle ore 10.00 - 11.00 - 12.oo e ogni giovedì pomeriggio alle ore 15.30 - 16.30 - 17.30.

Info: visiteinsinagoga@triestebraica.it

Nelle Marche lungo la Via dei pastori e dei pellegrini



Un tempo era la via dei pastori e dei pellegrini, quando ancora la pastorizia da queste parti era una risorsa e i pellegrinaggi un’abitudine cari agli abitanti del posto. Oggi i tempi sono cambiati, ma l’antico cammino che da Visso corre fino al Santuario di Macereto mantiene invariato il suo fascino.
Il percorso ha inizio a Visso, uno dei cento borghi più belli d’italia, poco lontano dal confine tra Marche e Umbria, e si snoda in un tratto dell’antica Via di Macerata e Laureta.
Visso sembra un paese d’altri tempi. Il terremoto del 1997, che ha sconvolto l’entroterra umbro-marchigiano, qui non ha lasciato segni. O meglio, le crepe e le devastazioni sono state cancellate dalle case grazie a una sapiente ricostruzione che ha cercato di ricostruire il paese così com’era. E il risultato fa un certo effetto, a cominciare dalla Piazza dei Martiri Vissani, il punto nevralgico del borgo, sul quale si affaccia la Colleggiata di Santa Maria, un’imponente costruzione in stile romanico-gotico risalente al XII secolo. Poco distante dall’edificio religioso è situato il museo della Chiesa di Sant’Agostino, mentre dall’altra parte della piazza è custodita una raccolta di manoscritti di Giacomo Leopardi.
Abbandonata Visso, l’antica via dei Pellegrini e dei pastori sale lungo il versante ovest del Monte Careschio per arrivare, dopo una camminata di circa dieci chilometri, all’altopiano di Macereto.
Un tempo era questa la strada utilizzata per la transumanza, il trasporto delle bestie, in prevalenza ovini, dalla maremma fino ai pascoli montani, d’estate. Qui son passati greggi e pastori, a piedi prima e su motociclette nel dopoguerra, fino ai giorni nostri, quando la transumanza non è diventata un affare di automobile e autotreni per il trasporto del bestiame.

L’altopiano di Macereto comunica un senso di eternità. Il silenzio la fa da padrone, e gli unici rumori che vi si sentono sono quello delle greggi al pascolo e quello della brezza che soffia sempre, anche d’estate. D’altronde l’altopiano si trova a circa 1000 metri sul livello del mare, come denuncia anche la vegetazione brulla che lo arricchisce.
L’antico santuario della Madonna di Macereto si trova al termine di una lunga strada asfaltata che si snoda su tutto l’altipiano, racchiuso entro una cerchia muraria e custodito da un fitto bosco di pini. Realizzato nel XVI secolo, l’edificio si erge maestoso e custodisce al suo interno anche opere di un certo prestigio, attribuite a Simone De Magistris. Su tutte spicca però la Madonna Miracolosa, che secondo la tradizione giunse nel santuario il 12 agosto 1359. Si narra che a portarla furono dei muli, i quali, arrivati nel prato ove sorge il santuario, smisero di camminare e non vollero più proseguire.
La camminata lungo al via dei pastori termina nella vicina Cupi, a pochi km dal santuario.
Il borgo montano, di origine medievale, è un piccolo agglomerato di case in pietra, dall’aspetto solido, oggi quasi disabitato. Tuttavia questo è forse uno dei pochissimi posti nella zona dove è ancora possibile incontrare i “pastorelli”, che continuano a produrre i formaggi secondo la vecchie tradizione. Come Beniamino, che da anni mantiene in vita le regole secolari tramandate di generazione in generazione per la produzione dei suoi ottimi formaggi, testimone orgoglioso di una storia d’altri tempi.

Lunghezza: km 12,1
Dislivello complessivo in salita: m 800
Dislivello complessivo in discesa: m 432
Tempo di percorrenza: 4 h 20'


trans.gifAltre informazioni su: www.sibillini.net

Con le ciaspole lungo il Sentiero dei carbonai


Andare per sentieri d’inverno per molti rappresenta un’attività adatta solo ai più esperti conoscitori della montagna. Quello che però molti non sanno è che esistono percorsi semplici e facilmente affrontabili, magari servendosi delle ciaspole, le racchette da neve.
Una proposta allettante è quella presentata dall’associazione “I Briganti del Cerreto” di Cereto Alpi, in provincia di Reggio Emilia, che per domenica 10 gennaio hanno organizzato un’escursione sul Sentiero dei Carbonai.

Il percorso si snoda lungo uno dei luoghi più incantevoli dell’Appennino Reggiano, tra boschi di faggi e carraie innevate. Lungo il sentiero si potranno ammirare alcuni luoghi molto suggestivi, come il l’anfiteatro glaciale denominato “Pradacci”, dove nasce il fiume Secchia, e il “Pranda”, un lago di origini artificiali ricavato dallo sbarramento del canale Cerretano.
Al termine dell'escursione ci si potrà riposare presso il Rifugio dei Briganti, gustando un pranzo a base di prodotti tipici locali.
La partenza è prevista alle ore 9 da Cerreto Alpi, ad un’altitudine di 950 mt.
Per maggiori informazioni consultar il sito dell’associazione: www.ibrigantidicerreto.com